venerdì 16 maggio 2025

Match Point in Vaticano: la diplomazia come gioco decisivo tra Kiev e Mosca"


Nel silenzio austero delle sale vaticane, si sta lentamente preparando un terreno di gioco inedito, quasi sacro. L'Ucraina, stremata da oltre due anni di guerra, insiste per un faccia a faccia tra Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin. 

L'ultimo round negoziale a Istanbul ha rimesso in moto la speranza — mai del tutto spenta — che la fine del conflitto possa passare da un colloquio diretto tra i due leader. "Putin è l'unico che decide in Russia", ha ricordato una fonte diplomatica ucraina all'Afp. E se è vero che solo lui può porre fine all'aggressione, allora Zelensky è pronto a giocarsi tutto in un confronto personale. Ma dove? E sotto quale arbitraggio?

Per comprendere il senso di questa dinamica, vale la pena ricorrere a una metafora sportiva: quella del tennis, uno sport che più di altri richiama il faccia a faccia, il rispetto delle regole, l'importanza dell'arbitro, e la necessità di un campo neutrale e definito.

Il match che non trova un campo

Come due tennisti professionisti pronti a giocare una finale destinata a entrare nei libri di storia, Kiev e Mosca si trovano però in una condizione surreale: non c'è ancora un campo dove disputare la partita diplomatica. Ogni tentativo di avviare trattative si è finora infranto contro il muro dell'intransigenza, del sospetto, o della propaganda. I mediatori proposti — dalla Turchia alla Cina, passando per la Svizzera — non hanno convinto pienamente entrambe le parti, né offerto le necessarie garanzie di neutralità o influenza.

E qui entra in scena un nuovo protagonista: Leone XIV . Egli continua ad appellarsi alla pace in ogni occasione pubblica, ma, soprattutto, ha dato segnali concreti di voler offrire la Santa Sede come spazio fisico e simbolico per un possibile dialogo.

Perché proprio il Vaticano? Perché, come nel tennis, serve un arbitro imparziale, capace di sedere in alto per avere una visione chiara dell'intero campo. Un arbitro che abbia conoscenza perfetta delle regole — morali e geopolitiche — e sia percepito come equidistante, anche quando richiama i giocatori per disturbi o violazioni.


Nel tennis, se un giocatore disturba involontariamente l'avversario — ad esempio facendo cadere una pallina dalla tasca — l'arbitro ferma il gioco e si rigioca il punto. Ma se il disturbo è deliberato, il punto è perso. Ecco il cuore della questione: troppe volte, negli ultimi anni, entrambi i giocatori hanno generato "disturbi", alcuni forse involontari, altri chiaramente voluti.

La propaganda, la manipolazione delle informazioni, la violazione dei corridoi umanitari, l'uso di minacce nucleari, i bombardamenti su infrastrutture civili: questi non sono solo colpi fuori campo, sono vere e proprie scorrettezze che richiederebbero — per restare nella metafora — ammonimenti e perdita di punti.

Il Papa, oggi in ottima salute e nel pieno della sua funzione, può rappresentare quell'arbitro che osserva, interviene, richiama e — se necessario — sanziona moralmente. Il suo messaggio non è mai stato ambiguo: la guerra è una sconfitta per tutti. Ma finora, nessuno ha voluto davvero riconoscere la legittimità di questo arbitro. Troppo influente per alcuni, troppo morale per altri, troppo "occidentale" o "spirituale" per chi guarda solo a interessi materiali.

La Santa Sede come campo di gioco

Eppure, il Vaticano offre qualcosa che nessun altro luogo al mondo può dare: uno spazio simbolicamente neutrale, non compromesso da ambizioni economiche o militari. Un campo di gioco puro, dove l'unico obiettivo è la pace.

È importante sottolineare che nella storia recente, il Vaticano ha già ospitato trattative delicate: basti pensare al ruolo svolto nella riapertura dei rapporti tra Cuba e Stati Uniti

La diplomazia vaticana, silenziosa ma instancabile, lavora spesso lontano dai riflettori, ma è guidata da una logica che non si piega alle logiche del potere.

Oggi, l'Ucraina sembra pronta a entrare in questo campo. Sta servendo per iniziare lo scambio, aspettando che Mosca risponda. Putin, però, resta al fondo del campo, indeciso se impugnare la racchetta o abbandonare il match. E intanto, il pubblico mondiale attende, sospeso tra speranza e disillusione.

Conclusione: si gioca o si rinuncia?

La guerra è, in fondo, l'assenza di regole. È il momento in cui il campo si dissolve e i giocatori si colpiscono non con racchette ma con armi. Il tentativo ucraino di riportare tutto a un confronto regolato, mediato, arbitrato, è dunque un atto di razionalità e coraggio.

Se Zelensky e Putin dovessero davvero incontrarsi in Vaticano, sarebbe un punto di svolta. Non significherebbe la fine immediata della guerra, ma segnerebbe l'inizio di una nuova partita: quella della diplomazia, della parola, del compromesso.

E il Papa, alto sulla sua sedia arbitrale, avrebbe finalmente l'occasione di fare ciò che molti leader mondiali non sono riusciti — o non hanno voluto — fare: far rispettare le regole della convivenza umana.

Per ora, il campo è pronto. L'arbitro è salito in sedia. Aspettiamo i giocatori

Marco Baratto

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