Di Marco Baratto
Negli ultimi giorni, il Cairo è tornato a essere il crocevia delle speranze e delle tensioni mediorientali. Durante i colloqui mediati dall'Egitto, Hamas avrebbe accettato – secondo quanto riferito dall'agenzia spagnola Efe – di consegnare le proprie armi a un comitato congiunto egiziano-palestinese, respingendo però con fermezza l'ipotesi di un'amministrazione internazionale per la Striscia di Gaza. Si tratta di un segnale di apertura, ma anche di un chiaro messaggio politico: Hamas vuole negoziare il futuro di Gaza direttamente con l'Autorità Nazionale Palestinese (ANP), rifiutando qualsiasi presenza esterna che possa essere percepita come una nuova forma di controllo coloniale o di commissariamento.
Il movimento islamista avrebbe inoltre respinto la possibilità che Tony Blair, ex primo ministro britannico, assuma un ruolo diretto nella gestione del territorio, pur accettando – secondo le stesse fonti – che possa svolgere un ruolo di monitoraggio "a distanza". Questo rifiuto non sorprende: Blair, pur essendo oggi impegnato in attività diplomatiche e umanitarie, porta con sé un passato ingombrante, segnato dall'intervento militare in Iraq e da scelte di politica estera che, nel mondo arabo, vengono tuttora percepite come simbolo di una strategia occidentale di imposizione e non di ascolto.
Eppure, la situazione a Gaza sembra aver raggiunto un punto di svolta. Dopo decenni di conflitto, distruzione e incomunicabilità, si avverte l'urgenza di trovare una figura capace di incarnare non solo la neutralità, ma anche una dimensione di credibilità morale, spirituale e umana. In questo senso, una proposta innovativa e profondamente simbolica potrebbe emergere proprio da Gerusalemme: affidare la gestione della transizione nella Striscia di Gaza a un comitato presieduto dal Cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, figura di equilibrio e di dialogo, stimata da tutte le comunità religiose presenti nella regione.
Un custode di pace tra le fedi
Il Cardinale Pizzaballa, francescano, ha dedicato la sua vita al dialogo interreligioso e alla costruzione di ponti tra le comunità cristiane, ebraiche e musulmane. La sua conoscenza profonda della realtà locale – maturata in oltre trent'anni di presenza in Terra Santa – lo rende un mediatore ideale in una fase delicata come quella che Gaza si appresta ad affrontare. Non rappresenta un potere politico né una potenza straniera: rappresenta piuttosto un'autorità morale, riconosciuta per la capacità di ascoltare e di comprendere le diverse sensibilità religiose e culturali del Medio Oriente.
Sotto la sua guida, un Consiglio di Transizione Religiosa potrebbe essere formato da esponenti nominati non dai governi, ma dalle principali autorità spirituali delle diverse fedi: ulema provenienti dai paesi musulmani, patriarchi e vescovi delle Chiese orientali, rabbini di riconosciuto impegno per la pace. Un consiglio "dei credenti", dunque, non dei potenti, con il compito di gestire la fase di transizione verso una nuova amministrazione civile palestinese e di garantire la tutela dei civili, la distribuzione degli aiuti e la ricostruzione morale e materiale della Striscia.
La forza del simbolo
Un simile scenario rappresenterebbe un ribaltamento storico: affidare la gestione della transizione non a politici o militari, ma a rappresentanti delle religioni, le stesse che per secoli sono state spesso strumentalizzate per alimentare i conflitti. È proprio in questo rovesciamento che si cela la forza del simbolo. In una regione dove la dimensione religiosa permea ogni aspetto della vita pubblica, la fede può trasformarsi da causa di divisione a strumento di riconciliazione.
Un "comitato delle fedi" non sostituirebbe la politica, ma la preparerebbe, offrendo uno spazio di umanità condivisa in cui le comunità locali possano ritrovare fiducia. La presenza del Cardinale Pizzaballa, coadiuvato da figure religiose musulmane ed ebraiche, invierebbe al mondo un messaggio potente: che la pace non è solo un obiettivo strategico, ma un dovere morale. In un contesto lacerato da decenni di odio e diffidenza, questo approccio potrebbe restituire dignità al dialogo e restituire speranza a chi, troppo a lungo, ha vissuto nell'ombra della guerra.
La sfida del realismo
Naturalmente, un simile progetto incontrerebbe enormi ostacoli. Gli equilibri politici regionali, le resistenze interne a Hamas e all'ANP, la diffidenza di Israele verso ogni forma di gestione "terza" e la complessità dei rapporti internazionali renderebbero difficile trasformare questa idea in realtà. Tuttavia, la forza delle idee non risiede sempre nella loro immediata realizzabilità, ma nella capacità di aprire nuove strade di pensiero.
L'Egitto, che da anni svolge un ruolo di mediazione, potrebbe accogliere positivamente una proposta che valorizzi il proprio ruolo di garante, integrandolo con una dimensione spirituale e simbolica. L'Unione Europea e il Vaticano, da parte loro, potrebbero offrire supporto diplomatico e logistico, evitando di politicizzare la missione. Israele, infine, potrebbe riconoscere nel Cardinale Pizzaballa un interlocutore affidabile, non ostile, capace di comprendere le sue preoccupazioni di sicurezza pur mantenendo la centralità del rispetto dei diritti umani.
Un cammino di fede e responsabilità
In un'epoca in cui la diplomazia tradizionale sembra incapace di produrre risultati duraturi, l'idea di affidare la transizione di Gaza a una guida spirituale appare rivoluzionaria ma coerente con la storia della regione. Gerusalemme, città sacra alle tre religioni monoteiste, potrebbe tornare a essere il cuore pulsante di una nuova visione di pace: una pace costruita non con i trattati, ma con la fiducia.
Il Cardinale Pizzaballa, che ha più volte invocato una "pace giusta" basata sulla dignità di ogni persona, potrebbe incarnare quella terzietà che manca da troppo tempo nei negoziati mediorientali. Non un governatore, non un commissario, ma un custode temporaneo di un processo di guarigione collettiva.
Se davvero Hamas e l'ANP intendono voltare pagina, se Israele desidera garantire sicurezza e stabilità durature, e se la comunità internazionale vuole finalmente favorire la rinascita della Striscia di Gaza senza imporre modelli esterni, allora l'idea di un Consiglio di Transizione Religiosa guidato dal Patriarca di Gerusalemme potrebbe rappresentare il primo passo verso una pace diversa — una pace che nasca dal cuore, prima ancora che dalle firme.
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